Con un decreto del 14 settembre 2019, il governo libico pretende di esercitare poteri sovrani anche all’interno delle acque internazionali che ricadono nella sua zona SAR (Search and Rescue), nella quale avviene la maggior parte dei naufragi. Le autorità di Tripoli pretendono di decidere preventivamente chi può operare e arrestare chi non si adegua. Tutto questo in violazione del diritto internazionale.
Il 14 settembre 2019 il Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico ha emesso un Decreto per disciplinare le operazioni di soccorso nella c.d. “zona SAR libica”, ovvero l’area in relazione alla quale la Libia ha unilateralmente comunicato all’IMO l’assunzione di responsabilità per il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso. A prescindere dalla effettiva esistenza e riconoscimento di una “zona SAR libica”, già più volte messa in dubbio perché non coordinando efficacemente i soccorsi la Libia non adempie agli obblighi imposti dalla stessa Convenzione SAR, il Decreto è un evidente tentativo di illegittimo esercizio di poteri sovrani in acque internazionali. Il governo libico sembra infatti considerare la zona SAR alla stregua delle proprie acque territoriali, in violazione sia della stessa Convenzione SAR (v. art. 2.1.7. dell’Allegato alla Convenzione), sia delle norme del diritto consuetudinario che limitano a 12 miglia dalla costa le acque territoriali e che impongono a tutti gli Stati di garantire il soccorso di naufraghi in mare.
Nonostante la Libia non abbia ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (CNUDM), essa è vincolata al rispetto delle norme del diritto internazionale consuetudinario codificate nella Convenzione stessa.
L’articolo 3 del Decreto vorrebbe estendere il suo ambito di applicazione a tutte le imbarcazioni coinvolte in operazioni SAR, sia alle navi di Stato impiegate nell’ambito di missioni di organizzazioni internazionali, sia alle navi private. Tuttavia, una tale previsione appare in contrasto con il principio della giurisdizione esclusiva dello Stato sulle imbarcazioni che battono la sua bandiera in acque internazionali, e ancor più sulla sostanziale immunità delle navi di Stato (articoli 95 e 96 della CNUDM, corrispondenti al diritto internazionale consuetudinario).
Particolarmente inquietanti sono le disposizioni di cui agli articoli 5, 16 e 17 del decreto. L’art. 5 prevede infatti che le organizzazioni che intendono svolgere attività di ricerca e soccorso nella cosiddetta “zona SAR libica” debbano preventivamente ottenere un permesso da parte delle autorità libiche. Tale norma si pone in palese contrasto con il principio della libertà di navigazione che vige in tutte le acque internazionali e con l’obbligo per tutti i comandanti di prestare soccorso ad imbarcazioni in pericolo. Ancor più grave, e in palese contrasto con il diritto internazionale sono gli articoli 16 e 17, che attribuiscono alle autorità libiche la competenza a fermare, sequestrare ed accompagnare verso i porti libici per sottoporre poi a procedure giudiziarie le navi che non rispettino le previsioni del decreto. L’utilizzo di simili misure coercitive su navi straniere al di fuori delle acque territoriali è del tutto incompatibile con il diritto internazionale (che consente l’abbordaggio di navi straniere in acque internazionali solo qualora esse siano impegnate in atti di pirateria, nella tratta degli schiavi o, in particolari condizioni, siano impegnate in trasmissioni abusive – v. l’art. 110 della CNUDM, che anche in questo caso corrisponde al diritto consuetudinario).
Merita attenzione anche l’art. 12 del Decreto ai sensi del quale i naufraghi soccorsi non potranno essere sbarcati in territorio libico, salvo casi eccezionali ed urgenti. Tale disposizione nulla cambia rispetto alla realtà dei fatti: come più volte affermato anche in sede giurisdizionale, la Libia non è un porto di sbarco sicuro e riportare i migranti in Libia costituisce una grave violazione del diritto internazionale, e in particolare di norme fondamentali sui diritti umani. Tuttavia, appare paradossale che il governo libico, nello stesso decreto con il quale afferma di voler regolamentare le operazioni SAR in una zona per la quale assume la responsabilità, neghi invece, in termini generali, proprio la responsabilità per lo sbarco, venendo così meno all’obbligo di cooperazione per la determinazione del luogo di sbarco previsto dalla medesima Convenzione SAR.
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