I rapporti tra UE ed ECOWAS e il controllo della mobilità
di Giulia Gasser, Ulrich Stege e Daniele Valeri
Aiutiamoli
Uno sguardo sugli aiuti
Il tema del governo delle migrazioni ha assunto una crescente centralità nelle relazioni tra Unione europea e paesi africani. Se nel 2000 l’Accordo di Cotonou dedicava uno spazio residuale al tema, sottolineando i potenziali effetti positivi delle migrazioni sullo sviluppo e concentrando gli sforzi di cooperazione sul rafforzamento dei processi di integrazione economica, attualmente i flussi migratori rivestono un’importanza primaria nei programmi di cooperazione tra UE e paesi africani.
Già nel 2005, con il Global Approach to Migration and Mobility (GAMM), l’UE legava strettamente le politiche di cooperazione con la gestione delle migrazioni. Si andava formando un nuovo discorso pubblico su migrazioni e sviluppo che avrebbe condotto, nell’arco di 15 anni, alla strutturazione di complesse politiche di esternalizzazione delle frontiere europee e del diritto di asilo. Il Summit de La Valletta del 2015 ha determinato una svolta nei rapporti tra UE e paesi africani: la conferenza ha portato all’istituzione del Fondo Fiduciario Europeo (EUTF) per l’Africa, il cui obiettivo è «di affrontare le cause profonde dell’instabilità, della migrazione illegale e dei trasferimenti forzati in Africa». Il fondo ha un valore di oltre 4,5 miliardi di euro e viene finanziato principalmente attraverso il Fondo europeo di sviluppo (European Development Fund).
Si sviluppano così ambiti di promiscuità tra le politiche di sviluppo e le politiche di controllo della migrazione che comportano una torsione in chiave securitaria dell’aiuto allo sviluppo. A seguito del Summit, è stato istituito il Migration Partnership Framework, il quale ha ridefinito le priorità degli accordi precedenti, in relazione principalmente alle politiche di sviluppo, intorno al singolo obiettivo della gestione della migrazione. Di conseguenza, i vari programmi di aiuto allo sviluppo sono utilizzati in buona misura per arginare la migrazione irregolare, da una prospettiva fondamentalmente europea, attraverso i c.d. meccanismi informali. Infatti, parte dell’approccio strategico della UE è di affrontare alla radice le cause della migrazione nei paesi di origine dei migranti.
Casa loro
Regimi regionali di libera circolazione all’interno delle agende africane
L’istituzione di regimi regionali di libera circolazione è un’ambizione per la maggior parte delle comunità economiche regionali africane, con alcune – in particolare l’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) – a buon punto nella realizzazione di questo obiettivo. Tali regimi di libera circolazione regionale sono considerati importanti strumenti per l’integrazione economica regionale e significativi motori di crescita e sviluppo. A livello dell’Unione Africana (UA), l’istituzione di regimi di libera circolazione all’interno di tutte le comunità economiche regionali è vista come la base critica su cui costruire l’integrazione economica e la libera circolazione a livello continentale.
Negli ultimi anni, si è registrato uno slancio nell’ambito delle politiche di integrazione regionale. L’Agenda 2063 dell’UA 2015, presenta la libera circolazione come una componente chiave della sua visione per un’Africa politicamente unificata. Nel 2018 l’UA ha adottato un protocollo sulla libera circolazione delle persone, il diritto di soggiorno e il diritto di stabilimento.
Nello stesso anno, l’UA ha inoltre sviluppato il Quadro di politica migratoria per l’Africa, che “raccomanda l’armonizzazione e il rafforzamento dell’attuazione delle disposizioni dell’UA e delle comunità economiche regionali in materia di libera circolazione relative al soggiorno e allo stabilimento, nonché una maggiore cooperazione tra gli Stati membri per quanto riguarda l’agevolazione della libera circolazione”. Inoltre, nel 2018 è stato lanciato l’accordo di libero scambio continentale africano (AfCFTA), che è stato firmato da tutti gli Stati africani tranne tre. Un recente studio della Commissione dell’Unione Africana (CUA) e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) sostiene che l’AfCFTA è un precursore critico della libera circolazione perché cerca di promuovere “la circolazione degli uomini d’affari in cinquantaquattro Paesi africani con una popolazione complessiva di oltre un miliardo di persone. La preesistenza e il successo dell’AfCFTA significa che il concetto di libera circolazione delle persone non è alieno e che su questo si può costruire una discussione”.
Al di là di queste politiche e accordi di alto livello, sono state stabilite alcune ambiziose iniziative a sostegno della libera circolazione regionale – in particolare il Programma congiunto per la migrazione del lavoro in Africa, adottato nel gennaio 2015 che mira a migliorare e coordinare uno scambio di manodopera in tutta l’Africa che protegga i lavoratori mobili e faccia leva sui benefici sociali ed economici che tali lavoratori apportano.
Anche se non c’è dubbio che questi impegni e queste iniziative suggeriscono un forte interesse a far progredire i regimi regionali di libera circolazione a livello africano, non raccontano tutta la storia. Ci sono sfide significative a livello regionale e di Stati membri per realizzare effettivamente questi impegni, a causa sia della debole capacità che della resistenza politica.
Un numero significativo di Stati africani continua a considerare i regimi regionali di libera circolazione come un rischio economico e di sicurezza. In effetti, questa resistenza si è inasprita con l’aumento dell’impegno dell’UE nel controllo della mobilità in Africa. Si sostiene che prima del 2015 le priorità dell’Africa in materia di migrazione si sarebbero concentrate sulla migrazione in quanto portatrice di sviluppo e di rimesse, ma che i governi africani stanno ora sempre più adottando una narrativa che presenta la migrazione come un rischio, e che sottolinea la necessità di proteggere le frontiere e di limitare la circolazione. Essi suggeriscono che ciò è dovuto sia al fatto che questo approccio corrisponde alle priorità dell’UE e rappresenta una via di accesso ai fondi dell’UE, sia al “contagio dell’ossessione dell’UE per la migrazione irregolare come minaccia”. Tuttavia, bisogna anche riconoscere che per alcuni Stati africani l’approccio securitario dell’UE alla migrazione si adatta bene alle loro prospettive e ai loro interessi. Si può in ogni caso sostenere che vi è una tensione tra le ambizioni di libera circolazione dei regimi regionali africani e l’agenda migratoria dell’UE.
Il regime regionale di libera circolazione dell’ECOWAS
L’Africa occidentale è una delle regioni più mobili del mondo. I flussi all’interno della regione sono maggiori rispetto a quelli verso il Maghreb o l’Europa: 90%di migrazione intra-regionale rispetto al 10% extra-regionale. La mobilità contemporanei in Africa occidentale è radicata in fattori socioeconomici, politici e storico-culturali che hanno avuto gravi ripercussioni sulla migrazione intra-regionale dei lavoratori transfrontalieri, dei professionisti, delle donne, dei commercianti, dei lavoratori irregolari e dei rifugiati. Anche la configurazione dell’emigrazione è molto diversificata, con alcuni paesi che fungono da fonte, origine e vie di transito per i migranti.
La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) è una delle espressioni più avanzate dei regimi regionali di libera circolazione in Africa, in particolare per quanto riguarda la libera circolazione delle persone. Fondata nel 1975, l’ECOWAS ha adottato un Protocollo sulla libera circolazione delle persone, il diritto di soggiorno e di stabilimento dal 1979. I cittadini dell’ECOWAS hanno diritto all’ingresso senza visto in altri paesi membri. Anche il passaporto dell’ECOWAS è stato concepito nel 2000. Oggi, l’ingresso senza visto e la libera circolazione negli Stati dell’Africa occidentale sono realtà consolidate, che riflettono una lunga tradizione di migrazione stagionale e circolare nella regione.
Aiutiamoli a casa loro
La cooperazione tra Unione Europea ed Ecowas avviene attraverso meccanismi formali e informali.
I meccanismi formali sono caratterizzati da interazioni tra le istituzioni attraverso piattaforme di dialogo in cui vi è uno scambio di “best practices” e informazioni. Seguendo il modello dell’RCP (Processi consultivi regionali), in base al quale un gruppo di Stati si impegnano in un dialogo frequente, informale e “a porte chiuse” sulle migrazioni, l’UE ha istituito diverse piattaforme di dialogo e l’ECOWAS partecipa a due di queste: il MIDWA e il Processo di Rabat. Il MIDWA ha lo scopo di assistere e incoraggiare gli Stati Membri dell’ECOWAS a discutere temi comuni sull’immigrazione in un contesto regionale, mentre il Processo di Rabat, vantando la partecipazione di diversi Stati europei e africani, così come della Commissione Europea e dell’ECOWAS, costituisce il quadro di consultazione e coordinamento su questioni fondamentali legate al fenomeno della migrazione.
La cooperazione avviene inoltre attraverso meccanismi informale e con la negoziazione di accordi bilaterali con i singoli paesi della regione ECOWAS. Inoltre, la UE si è manifestata interessata ad assistere gli Stati nello sviluppo delle condizioni per promuovere la mobilità regionale della forza lavoro, come alternativa alla migrazione irregolare verso l’Europa. L’oggetto di questi accordi bilaterali sono principalmente aiuti economici a fronte di un rafforzamento della capacità in termini di sicurezza dei confini, della lotta a traffico illecito e di esseri umani e della costruzione di meccanismi di riammissione facilitati.
Effetti collaterali degli aiuti: gli ostacoli ai movimenti interni nella regione
Le criticità dell’approccio europeo nei rapporti con l’ECOWAS sono molteplici.
In primo luogo, la negoziazione bilaterale con i singoli stati membri, piuttosto che con il Segretario dell’ECOWAS, comporta la possibilità per l’UE di selezionare i paesi identificati come maggiormente a rischio migratorio e di farli beneficiare di ingenti aiuti, a scapito di altri, in quanto considerati paesi chiave per contrastare gli arrivi irregolari in Europa. Per esempio il Niger, grazie alla sua collocazione strategica nel transito verso la Libia, ha beneficiato più di tutti gli altri Paesi dell’EUTF, ricevendo in soli 3 anni 266,2 milioni di euro.
Inoltre, diverse criticità emergono dalla gestione dell’EUTF stesso. Tra queste, la principale riguarda il processo decisionale sulla destinazione del Fondo, governato da attori europei. Ciò comporta che i membri ECOWAS non possano decidere sulla natura delle iniziative che vengono finanziate, il che costituisce una chiara violazione della Dichiarazione di Parigi sull’efficacia degli aiuti.
Gli interventi della UE diretti a bloccare i flussi migratori all’interno della regione ECOWAS sta forzando la regione a vedere e ridefinire la libera circolazione nella prospettiva delle politiche europee della migrazione.
L’UE sta chiaramente facilitando, se non esigendo con la forza, l’attuazione di leggi che ostacolano in modo diretto il programma di integrazione dell’ECOWAS e sono mirate a limitare se non proibire i movimenti ed i viaggi all’interno dell’area ove il programma di integrazione di ECOWAS è invece ancorato alla libertà di movimento, che include, tra le altre cose, il diritto di migrare e stabilirsi nel territorio di uno stato membro diverso dallo stato di origine. Le politiche dell’UE nell’ECOWAS stanno minacciando questo programma; gli Stati membri ora sono più preoccupati di rafforzare la sicurezza alle frontiere che di facilitare la piena realizzazione dei diritti di residenza e dimora che, al contrario delle politiche UE, promuovono la migrazione intra-regionale.
Le campagne di sensibilizzazione promosse dall’UE, che sono prevalenti in questi paesi, hanno lo scopo principale di convincere potenziali migranti a restare nei loro paesi di origine.
La politica dell’UE sulla libertà di movimento è segnata dalla paranoica attenzione alla sicurezza delle frontiere all’interno dell’area di libera circolazione; la partnership dell’UE con Niger e Mali, come sottolineato dai funzionari dell’UA e di UNECA, ha riguardato la messa in sicurezza delle frontiere, ostacolando direttamente la circolazione dei cittadini dell’ECOWAS. Così la permeabilità dei confini, attribuita al regime di libera circolazione ECOWAS, viene vista come la causa dell’infiltrazione di armi per terroristi e bande, traffico e contrabbando di beni, tratta di esseri umani e altre minacce alla sicurezza in questi paesi.
Al contempo questo sforzo massiccio verso la limitazione dei movimenti e la sicurezza, diretta ad ostacolare o impedire l’immigrazione verso l’Europa, ha causato un aumento del numero di casi di violazione dei diritti umani all’interno dell’area di libera circolazione.
Oltre al fatto che limitare o impedire la libera mobilità viola il diritto alla libera circolazione dei cittadini della comunità, il modo in cui tali politiche ispirate dall’UE vengono attuate espone i migranti ad abusi. I cittadini dell’ECOWAS che attraversano queste frontiere subiscono spesso vessazioni da parte di funzionari della sicurezza; violazioni che possono costituire una violazione dei diritti fondamentali alla libertà personale e alla dignità della persona umana.
E’ in ogni caso indubbio che la gestione delle frontiere è diventata un’attività lucrativa, dai sistemi di controllo biometrici, alle barriere, ai sistemi di intercettazione marittima e terrestre, alla tecnologia di sorveglianza ecc.
Uno slogan è un insieme di parole studiate per dirigere, indirizzare i nostri pensieri e le nostre scelte, al contempo cela un significato, un pensiero: ora possiamo comprendere, pur sommariamente, quale pensiero è racchiuso dietro quel “aiutiamoli a casa loro” e le conseguenze delle politiche che lo attuano.
Photo by David Rotimi on Unsplash