di Agnese Pacciardi
Quando parliamo di esternalizzazione del controllo della frontiera da parte dell’Unione Europea o degli stati membri ci riferiamo a quell’insieme di azioni extraterritoriali messe in atto da attori statali, sovra-statali e non-statali al fine di impedire l’arrivo dei migranti sul suolo europeo. Nella maggior parte dei casi, ci riferiamo ad un approccio di militarizzazione della frontiera che comprende, tra le altre cose, operazioni marittime o terrestri di controllo del confine, finanziamenti alla polizia di frontiera ed erogazioni di fondi ed equipaggiamenti per rafforzare le frontiere esterne dell’UE, ad esempio attraverso la costruzione di barriere fisiche o strutture detentive. Tuttavia, specialmente negli ultimi anni, a questo approccio securitario e militare si è progressivamente affiancato un approccio umanitario, che comprende progetti di varia natura classificabili come cooperazione allo sviluppo. Questo ha comportato, da un lato, un diverso orientamento delle politiche di esternalizzazione europee, dall’altro, la discesa in campo di nuovi attori.
Esternalizzazione preventiva: logiche e strategie
La logica alla base di questo tipo di esternalizzazione, che potremmo definire “preventiva”, è duplice: se da un lato questa strategia mira a migliorare le condizioni socio-economiche delle zone a forte presenza migratoria in modo da scoraggiare futuri spostamenti e favorire la migrazione di ritorno, dall’altro legittima l’intervento europeo e depoliticizza, almeno in parte, la strategia di contenimento dei flussi. Rispetto alle tradizionali politiche di esternalizzazione finalizzate esplicitamente al controllo delle frontiere, le politiche di cooperazione allo sviluppo sono più facili da finanziare e implementare, in quanto vengono accolte di buon grado tanto all’interno dell’UE, quanto soprattutto dagli stati terzi. Inoltre, questo tipo di politiche permette di adottare, almeno in apparenza, un approccio umanitario alla gestione delle migrazioni attraverso azioni meno controverse della cooperazione con le polizie di frontiera. Infine, promettendo ingenti quantità di contanti nel breve termine, l’UE si assicura la collaborazione dei paesi terzi nella gestione delle frontiere secondo le proprie priorità.
La retorica che accompagna la promozione di gran parte di queste politiche si basa sul cosiddetto “diritto a restare”, che promuove una visione sedentaria dello sviluppo, sostenendo che, con adeguate opportunità in loco, le persone decideranno di non migrare. Questo tipo di politiche si basa su una narrazione volta a screditare e talvolta criminalizzare la migrazione come strategia di sopravvivenza, valorizzando invece le storie di chi è riuscito a farcela restando a casa e arrivando fino a considerare la migrazione un fallimento personale e collettivo. Questa idea viene perfettamente racchiusa nell’espressione Wolof “Tekki fii”, ovvero “riuscire qui”, che viene spesso utilizzata nelle campagne di sensibilizzazione contro la migrazione irregolare. Tralasciando le motivazioni individuali che sottendono alla scelta di migrare, il presupposto alla base di queste politiche, almeno nella narrazione ufficiale, è l’idea che un maggiore sviluppo contribuisca in modo decisivo ad una diminuzione dei flussi migratori. Tuttavia, tale premessa è stata ampiamente confutata dalla letteratura scientifica economica che dimostra come, al contrario, più sviluppo corrisponda, almeno nel medio-lungo termine, a un incremento dei flussi.
Il Fondo Fiduciario d’Emergenza per l’Africa (European Trust Fund for Africa)
A tal proposito, è importante rilevare come, a partire dal 2015, la difesa militarizzata dei confini è stata gradualmente affiancata da politiche di esternalizzazione preventiva, che, seppur con mezzi diversi, perseguono lo stesso fine dell’esternalizzazione tradizionale, cioè quello di contenere i flussi migratori.
Nonostante si possa sostenere che la cooperazione allo sviluppo sia da sempre utilizzata a fini politici, piuttosto che umanitari, occorre sottolineare che è soprattutto con la cosiddetta crisi migratoria del 2015 che questa strategia è stata istituzionalizzata, diventando parte integrante delle politiche europee di esternalizzazione e controllo della mobilità nei paesi vicini. In particolare, il passaggio che ha ufficialmente sancito l’unione di un’esternalizzazione militare e securitaria a un’esternalizzazione umanitaria è stata l’istituzione del Fondo Fiduciario Europeo di Emergenza per l’Africa (EUTFA) al Summit della Valletta nel 2015. Lo scopo di tale strumento finanziario è quello di affrontare le cause profonde della migrazione attraverso la cooperazione con i paesi di “origine”, “transito” e “partenza” maggiormente interessati dal fenomeno migratorio. Questo ambizioso obiettivo viene perseguito attraverso vari progetti realizzati in tre macro aree di intervento: la zona del Sahel e del Lago Ciad, il Corno d’Africa e il Nord Africa. I progetti, alcuni dei quali completamente nuovi, altri legati a progetti pre-esistenti, sono divisi per obiettivi: 1) creare nuove opportunità economiche e di impiego, 2) potenziare la capacità di resilienza delle comunità locali, 3) migliorare la gestione dei flussi e 4) migliorare la governance e la prevenzione dei conflitti.
Senegal e Mauritania
Con 112 progetti attivi, l’area del Sahel e del Lago Ciad, che comprende Senegal e Mauritania, è la zona che ha ricevuto in assoluto più finanziamenti. Ai €2.08 miliardi inizialmente previsti, nel 2020 la Commissione Europea ha aggiunto €52.5 milioni. Con €170 900 000 e 10 progetti attivi il Senegal è tra i maggiori beneficiari. La maggior parte dei progetti attivi nel paese rientra nella categoria 1) creare nuove opportunità economiche e di impiego. Gli attori principali incaricati dell’implementazione di tali progetti sono le agenzie per la cooperazione allo sviluppo di vari paesi europei (Spagna, Francia, Italia, Belgio, Lussemburgo), il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC), l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), l’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR) e il colosso francese legato al Ministero dell’Interno che si occupa di formazione e consulenza in ambito di sicurezza (Civipol). D’altra parte, la Mauritania ha invece beneficiato di 9 progetti per un totale di €88 300 000. La maggioranza dei progetti implementati in Mauritania riguardano la creazione di opportunità economiche, ma anche la governance e la prevenzione dei conflitti. Gli attori principali sono ancora una volta OIM, UNHCR e Civipol, ma anche Interpol, Save the Children, l’organizzazione governativa spagnola FIIAP, l’agenzia tedesca per lo sviluppo GIZ e l’agenzia governativa francese Expertise France.
Nonostante il grande numero di attori coinvolti, possiamo immediatamente rilevare la presenza di due categorie ben distinte: attori umanitari, che rappresentano la maggioranza, e attori securitari (Civipol e Interpol). Una prima mappatura dei progetti, dunque, permette di evidenziare come logiche securitarie e umanitarie convivano e si intersechino, talvolta anche all’interno di uno stesso progetto.
OIM e UNHCR: attori nell’esternalizzazione preventiva della frontiera
In particolare, è interessante notare la presenza preponderante di OIM e UNHCR, che si vanno a collocare a pieno titolo tra gli attori principali nel panorama delle politiche di esternalizzazione preventiva. Benché negli ultimi anni le loro attività siano spesso andate a convergere, queste organizzazioni hanno due mandati essenzialmente diversi. UNHCR è l’Agenzia ONU per i Rifugiati e ha come mandato quello di fornire protezione e assistenza, l’OIM è un’agenzia intergovernativa che si occupa di affiancare gli stati nella gestione dei flussi migratori. Dal 2016 è associata alle Nazioni Unite (related association), senza però far parte del sistema delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite (specialized agency). Benché UNHCR e OIM lavorino spesso insieme ufficialmente il loro compito è molto diverso: UNHCR ha una vero e proprio mandato umanitario, e opera quindi ad esclusivo beneficio dei rifugiati; il mandato di IOM è invece quello di agevolare la gestione dei flussi attraverso progetti anche molto diversi tra loro, dall’elaborazione dei visti, al training per la polizia di frontiera, dall’evacuazione e rimpatrio fino anche a progetti di natura prettamente socio-economica. Inoltre, proprio per la natura del suo mandato, OIM si occupa di migranti (non solo rifugiati). Infine, mentre UNHCR, viene finanziata principalmente dall’ONU, OIM viene finanziata a progetto, il che la rende più dipendente da finanziamenti esterni, ad esempio quelli europei. Queste differenze di mandato e budget potrebbero spiegare, almeno in parte, perché OIM sia molto più coinvolta di UNHCR nei progetti finanziati dall’UE in Africa occidentale.
Di fatti, dal 2015, le attività di OIM in Africa hanno iniziato ad essere sempre più determinate dalle priorità strategiche dell’UE. Questo stretto rapporto di collaborazione culmina nel 2016 con la partnership tra UE e IOM nella gestione dei flussi migratori, l’Iniziativa Congiunta per la Protezione e Reintegrazione dei Migranti (EU-IOM Joint Initiative for Migrant Protection and Reintegration) – finanziata dall’EUTFA (Joint Initiative for Migrant Protection and Reintegration). In particolare, attraverso la EU-IOM Joint Initiative, l’OIM, in collaborazione con UE e stati terzi, si occupa dei rimpatri volontari e dell’assistenza e reintegrazione dei migranti una volta tornati nel paese d’origine. Inoltre, come parte del suo mandato, l’OIM organizza campagne di sensibilizzazione sui rischi della scelta migratoria e produce ingenti quantità di dati sui flussi migratori. In questo senso, attraverso la EU-IOM Joint Initiative sono stati finanziati molti progetti sia in Senegal che in Mauritania. Del resto, tra tutti gli attori finanziati attraverso l’EUTF, l’OIM è sicuramente una delle agenzie principali.
Attraverso i finanziamenti dell’EUTF, l’OIM ha ricevuto finanziamenti per l’implementazione di 25 progetti, 7 dei quali in Mauritania (4) e Senegal (3). In totale, UNHCR è stata coinvolta in 15 progetti finanziati dal EUTFA di cui 5 in Mauritania (3) e Senegal (2). Per entrambi gli attori, i progetti rientrano nelle azioni volte a migliorare la gestione dei flussi migratori. Interessante notare, inoltre, come OIM e UNHCR sembrino lavorare insieme nella maggior parte dei progetti, nonostante OIM sembri avere un ruolo molto più centrale.
In Senegal l’OIM è presente dal 1998, e dal 2006 è stata coinvolta in progetti europei per la gestione dei flussi migratori. A Dakar, inoltre, ha sede l’ufficio regionale per l’Africa centrale e occidentale. Dal 2014 l’OIM è stata coinvolta in un’iniziativa europea di controllo del confine che prevedeva, tra le altre cose, di stabilire 8 nuovi punti di controllo al confine tra Senegal, Mali e Mauritania. In questo contesto, l’organizzazione ha anche contribuito ad addestrare le guardie di frontiera senegalesi. Inoltre dal 2015 l’OIM è coinvolta in progetti europei finanziati dall’EUTFA. I progetti sono di natura molto varia, anche se riguardano principalmente la migrazioni di ritorno, ad esempio rimpatri volontari e iniziative per reintegrare i migranti nella società. Dal 2016 al 2018, l’OIM ha inoltre collaborato alla stesura del Senegalese National Migration Policy.
In Mauritania, invece, la presenza dell’OIM è meno radicata, essendo presente stabilmente solo dal 2007 come risposta alle richieste del governo mauritano per migliorare il controllo delle frontiere. Nel 2010 insieme all’Unione Europea e al governo della Mauritania, OIM e UNHCR hanno partecipato alla stesura della Mauritanian National Migration Strategy con l’obiettivo di creare un approccio comprensivo alla gestione dei flussi migratori. Tra i vari progetti, OIM ha aiutato a costruire PRISM, un sistema di identificazione utilizzato dal governo Mauritano per raccogliere, processare e archiviare informazioni riguardanti tutti coloro che entrano ed escono dal paese, inclusi i dati biometrici. Nel 2015, in partnership con il governo, OIM ha presentato la National Strategy of Integrated Border Management per rafforzare i confini con Mali e Senegal.
In generale, il ruolo di UNHCR in questi due paesi appare più limitato. D’altra parte, molte delle attività finanziate dall’UE in Africa occidentale riguardano il controllo dei flussi migratori e il rafforzamento dei controlli alla frontiera, piuttosto che la protezione di richiedenti asilo e rifugiati. Tuttavia, sia OIM che UNHCR lavorano a stretto contatto con l’Unione Europea per gestire la migrazione da diversi punti di vista (dai rimpatri volontari ad azioni volte a rafforzare il controllo dei confini), e allo stesso tempo producono informazioni e dati essenziali per l’UE. Inoltre, presentandosi come attori neutrali in grado di mediare tra migranti, governi locali e Unione Europea attraverso un approccio più umanitario, OIM e UNHCR contribuiscono alla sostenibilità delle politiche europee. La presenza crescente di tali attori, nonché il loro ruolo sempre più in linea con le politiche europee, evidenzia la creazione di un’architettura complessa per il controllo delle migrazioni che comprende sempre più sovente agenzie non governative e tecniche di esternalizzazione non sempre immediatamente riconoscibili come tali.
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