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Il diritto alla trasparenza nei finanziamenti volti alla gestione integrata delle frontiere: il caso della Libia

18 Febbraio 2021

di Diletta Agresta e Armando Maria De Nicola

Oltre il controllo: la gestione della “frontiera”

È ormai noto come l’Unione Europea e gli stati membri rispondano da diversi anni alle sfide poste dalla mobilità umana attraverso politiche repressive di delega della gestione delle frontiere e dei flussi migratori alle autorità dei paesi terzi. Tali politiche hanno l’obiettivo comune di scongiurare l’arrivo del maggior numero possibile di cittadini di paesi terzi nel territorio comunitario – siano essi in fuga dalla guerra, da disastri naturali, o semplicemente da condizioni di vita non soddisfacenti. Da queste politiche derivano  sistemi in continua evoluzione che mettono in gioco attori diversi e strategie nelle quali si intrecciano gli interessi sia dei paesi europei sia della controparte africana.

La delocalizzazione della frontiera e la cooperazione massiccia con i paesi terzi – sia d’origine che di transito – continuano ad essere uno strumento centrale delle politiche migratorie dell’Unione europea. Un cambio di narrazione nell’approcciarsi alla questione migratoria da parte dell’Unione Europea e conseguentemente di alcuni paesi membri è stato celebrato dall’abbandono del concetto di “controllo delle frontiere” per passare a quello di “gestione integrata della frontiera”. Tale concetto supera in senso tecnocratico quello di “controllo” depoliticizzandolo – come ci ricorda Cutitta[1] – per entrare in una dimensione che permette l’adattamento ad una gestione più globale della mobilità.

La Libia com’è noto è un paese chiave nelle politiche migratorie europee, in quanto snodo centrale dei flussi migratori africani e non solo. Si tratta di un paese con una debole governance, le cui autorità sembrano beneficiare della legittimazione scaturita dall’impegno europeo nel paese. Data la sua posizione centrale nei flussi del Mediterraneo centrale, la Libia ha suscitato l’attenzione delle istituzioni europee e degli stati membri in quanto potenziale attore preponderante nel controllo dei confini marittimi.

Supporto europeo alla “gestione” libica dei confini marittimi

Nel 2017, dopo che il Consiglio europeo ha chiaramente affermato che l’obiettivo primario dell’Unione fosse quello di equipaggiare ed addestrare la guardia costiera libica, la Commissione ha approvato il programma di “Supporto alla gestione integrata dei confini e dei flussi migratori in Libia” (d’ora i poi IBM – Integrated Border Management). Si tratta di un finanziamento di 46 milioni di euro – circa 42 dei quali provenienti dal Fondo Fiduciario d’Emergenza per l’Africa – destinati ad attività che vengono attuate dal Ministero dell’Interno Italiano. L’obiettivo del programma consiste nel rafforzare le capacità operative delle autorità libiche nelle attività di gestione dei confini terrestri e marittime. L’effetto desiderato è offrire strumenti – tramite l’assistenza materiale, tecnica e politica alle autorità libiche – finalizzati all’intercettazione di migranti e rifugiati nel Mediterraneo centrale per facilitare  il loro ritorno alle crudeli e disumane condizioni di tortura e schiavitù nei centri di detenzione del paese nordafricano.

Le tragiche conseguenze di tale programma sui diritti dei cittadini stranieri in viaggio verso l’Europa hanno immediatamente catturato l’attenzione delle associazioni della società civile, le quali nel corso degli anni hanno denunciato gli effetti nefasti del progetto IBM sui diritti dei migranti – soffermandosi in particolare  sul diritto d’asilo e sul diritto a lasciare qualunque paese – promuovendo attività di monitoraggio con l’obiettivo di dimostrare le responsabilità giuridiche dell’Unione Europea e dell’Italia in tali estreme violazioni.

E’ subito apparsa evidente la mancanza di trasparenza e di accountability, sia sul versante europeo sia su quello italiano, relativamente alle attività del programma IBM, ed in particolare la carenza di qualunque meccanismo di monitoraggio per verificare l’impatto del programma sui diritti dei cittadini stranieri. In un contesto in cui l’UE e gli Stati membri stanno effettivamente contribuendo a gravi violazioni, la indisponibilità di informazioni sull’uso del denaro pubblico desta grande preoccupazione ed interesse nella società civile. Ottenere informazioni su come le attività, il monitoraggio, la valutazione e la revisione del programma IBM vengono attuati consentirebbe ai cittadini di interagire con i decisori politici in merito a come i fondi dell’UE vengono utilizzati dagli attori libici. Non consentire alla società civile di accedere a tali informazioni significa escluderla dalla possibilità di verificare la legittimità dell’uso dei fondi da parte dell’UE in questo contesto altamente sensibile.

Esercizi di trasparenza

In questo quadro generale si inserisce l’azione di Sara Creta, una giornalista che da anni compie missioni sul campo in Libia per svolgere ricerche nell’ambito delle migrazioni forzate. Nell’ottobre del 2020 Creta ha presentato  una richiesta di accesso civico generalizzato al Ministero dell’Interno italiano con l’obiettivo di conoscere come vengono utilizzate le risorse finanziarie impiegate nel programma IBM. Tale azione è stata preceduta da un preventivo lavoro di ricerca, che ha portato la giornalista a ricostruire – anche se parzialmente – le attività messe in atto dal Ministero in esecuzione del programma IBM.

Consultando fonti istituzionali (come il sito della Polizia di Stato e quello di Invitalia), Creta ha scoperto che a fronte dei 46 milioni di euro stanziati nel 2017 per la fase uno, a settembre 2020 ne risultano spesi meno di 6 milioni. Le attività implementate comprendono la fornitura di imbarcazioni alla polizia libica, la fornitura di veicoli Land Cruiser Toyota e Minibus Iveco, alle “autorità libiche”, nonché l’appalto per la fornitura di 14 ambulanze per il pronto soccorso, da consegnare allo “stato Libico”. A ciò si aggiungono i servizi di “assistenza tecnica e consulenza specialistica per le esigenze della Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere”, appaltati a società di consulenza esterne e le formazioni rivolte alla Polizia libica. Il Ministero dell’Interno ha rigettato prontamente la richiesta di accesso civico con motivazioni generiche tra le quali un possibile pregiudizio che la disclosure delle informazioni potrebbe arrecare alle relazioni internazionali tra i due paesi.

Sulla base di tali premesse Sara Creta – supportata dagli avvocati e soci ASGI Luce Alessandra Bonzano ed Alberto Pasquero – ha proposto ricorso al TAR del Lazio. Il ricorso si fonda essenzialmente sul diritto dell’interessata di accedere “ai dati ed ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione”. L’art. 5 comma 2, del d. Lgs. n. 33/2013 attribuisce infatti a “chiunque vi abbia interesse” il diritto di accedere a tale documentazione, essenzialmente pubblica, anche a prescindere dalla sussistenza di specifici interessi soggettivi e da qualsiasi onere di motivazione rispetto alla richiesta di accesso.

E’ proprio l’interesse della collettività a conoscere l’attività posta in essere dall’Amministrazione, nonché a verificare il corretto impiego dei fondi, a costituire il perno dell’illegittimità del rifiuto all’accesso agli atti. Inoltre, risulta sterile la motivazione addotta circa un generico pregiudizio al buon andamento delle relazioni tra Paesi sovrani, essendo parte della documentazione già pubblicata su un sito accessibile a chiunque.

In sostanza, la posizione del Ministero dell’Interno risulta opaca e dà adito ad ulteriori perplessità su come i fondi comunitari vengano effettivamente impiegati in Libia. Il silenzio delle autorità italiane mal si attaglia ai principi di pubblicità e di trasparenza a cui esse sono tenute a conformarsi. Tali obblighi risultano ancor più stringenti trattandosi di attività di finanziamento ad un paese che da molti anni continua a macchiarsi di gravi violazioni dei diritti umani dei rifugiati e dei migranti, soprattutto per mano della Guardia Costiera libica, anch’essa destinataria di parte dei fondi.

SCHEDA TECNICA: Il ricorso al TAR Lazio

Il progetto IBM: strumento di un disegno politico più ampio

Diverse associazioni europee avevano già sottolineato la difficile compatibilità del Fondo Fiduciario per l’Africa con i requisiti di base richiesti dal sistema comunitario di gestione dei fondi dell’Unione per le azioni esterne, mancando lo stesso Fondo di una chiara e coerente definizione degli obiettivi ed essendo deficitario quanto a trasparenza[2]. D’altronde, la stessa Corte dei Conti Europea aveva contestato la finalità del Fondo, retoricamente nato per affrontare le “cause profonde” della migrazione ma poi concretamente utilizzato per comprimere la libertà di movimento dei transitanti dall’Africa  all’Europa[3].

Ciò pone in serio dubbio l’azione comunitaria sotto il profilo delle corrette modalità di erogazione dei fondi, di compatibilità con i regolamenti finanziari europei, con le modalità di formazione del bilancio istituzionale, e con il rispetto del ruolo del Parlamento europeo, cui la gestione “emergenziale” dei fondi ha sottratto ogni possibilità di esercitare un controllo. Ci si interroga però soprattutto sul tema dell’impatto di alcune di queste attività che, seppur hanno luogo in Libia e sono realizzate da soggetti esterni all’Unione – anche mediante i fondi IBM da essa elargiti – vanno a incidere sui diritti fondamentali di migranti, soggetti vulnerabili e/o meritevoli di protezione internazionale, implicando una evidente violazione di norme europee ed  internazionali a tutela dei diritti fondamentali, cui senz’altro l’Unione ed i propri stati membri sono soggetti.  

E’ evidente come la mancanza di trasparenza delle autorità italiane sulle modalità di esecuzione del progetto IBM si coniughi con la più generale discutibilità dell’azione europea di delega alla “gestione” delle frontiere. Quanto presentato rende esplicita la necessità da parte dell’UE e dei paesi membri di condizionare e subordinare qualunque forma di finanziamento alla Libia a misure concrete e verificabili per garantire il rispetto dei diritti fondamentali delle persone in movimento.

L’impegno delle istituzioni deve essere anche quello alla trasparenza, affinché i cittadini possano effettuare un dovuto controllo e monitoraggio sulla legittimità dei finanziamenti erogati. In questo panorama lo strumento dell’accesso civico generalizzato (FOIA) è estremamente strategico, permettendo da una parte la conoscenza dei contenuti e delle attività della pubblica amministrazione, e, dall’altra, lo sviluppo, sulla base delle informazioni ottenute, di azioni di contrasto – anche giudiziarie – per tentare di modificare le linee di intervento. Tali azioni diventano sempre più fondamentali e necessarie in un panorama dove la delocalizzazione delle frontiere si sposta sempre più a sud, e incide in maniera sempre più incalzante anche con gli interessi legati al controllo della mobilità e alla limitazione della libertà di movimento dei regimi africani.


[1] Si veda Cutitta, Ripensare l’esternalizzazione, in Rivista Geografica Italiana, CXXVII, Fasc. 4, Dicembre 2020. Franco Angeli Editore.

[2] ASGI, GLAN e ARCI,  Esposto sulla complicità finanziaria dell’UE nei respingimenti verso la Libia https://sciabacaoruka.asgi.it/esposto-complicita-finanziaria-ue-nei-respingimenti-verso-la-libia/

[3] Relazione speciale n.32/2018: Il fondo fiduciario di emergenza dell’Unione europea per l’Africa: flessibile, ma non sufficientemente mirato https://www.eca.europa.eu/it/Pages/DocItem.aspx?did=48342

Photo by Jakob Owens on Unsplash

Tags: esternalizzazione, EUTF, guardia costiera libica

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Sciabaca&Oruka – Oltre il Confine è un progetto dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI*) che si propone di contrastare le politiche che limitano illegittimamente la libertà di movimento e il diritto di asilo.

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