Di Martina Cociglio e Lorenzo Figoni
Ricevere un’informativa adeguata riguardante i propri diritti una volta entrati nel Paese di destinazione è, per le persone migranti, strumento di fondamentale importanza al fine di accedere a un percorso di regolarizzazione. Tale diritto è presente nel nostro ordinamento attraverso numerose disposizioni normative, tra le quali l’art. 8 della Direttiva 2013/32/UE, gli artt. 11,13 e 42 del D.Lgs. 286/1998, gli artt. 3 e 6 c.4 del D.Lgs. 142/2015, gli artt. 10 e 10bis del D.Lgs. 25/2008[1]. Nel corso della pandemia e probabilmente, in parte, a causa di essa si è registrato un particolare incremento del flusso migratorio proveniente dalla Tunisia, al quale ha fatto seguito un ulteriore impulso politico indirizzato all’esternalizzazione delle frontiere[2]. Tale recente incremento ha dato modo di osservare anche un consolidamento di prassi che mirano a rendere ancora più automatica l’equazione tra nazionalità e possibilità ostacolata di conoscere i propri diritti.
Un percorso nel buio
La mancanza di un’informativa legale adeguata caratterizza tutto il percorso, dallo sbarco al rimpatrio: meno si sa e meno i propri diritti possono essere fatti valere. Allo sbarco segue il trasporto negli hotspot – dove si passerà un lasso di tempo variabile a seconda della disponibilità di posti nella struttura – o sulla nave quarantena. All’interno dell’hotspot le persone migranti vengono pre-identificate attraverso la compilazione del cosiddetto foglio notizie: si tratta della prima selezione che mira a ostacolare il riconoscimento delle persone tunisine come richiedenti asilo, esclusivamente sulla base della provenienza. Esigenze di far richiesta di protezione, come eventuali cause di inespellibilità, non hanno alcun modo di emergere. Il foglio notizie, infatti, altro non è che un modello prestampato da firmare velocemente di fronte alle autorità. Fa seguito l’identificazione, consistente nel fotosegnalamento, nella scansione delle impronte digitali e nell’inserimento del nome nelle banche dati. Un procedimento eseguito meccanicamente nella totale ignoranza di ciò che si sta facendo, ciò che si sta firmando, con la fiducia che siano tutti meri adempimenti necessari per vivere in Europa. Il passo successivo, messo in atto contestualmente alla pandemia da covid-19, è quello di essere portati su una nave quarantena per l’isolamento fiduciario. Anche durante questo periodo di tempo non vengono dati lo spazio e la possibilità di ottenere informazioni e di entrare facilmente in contatto con operatori e avvocati che possano fornire supporto legale. Se il tampone afferma la negatività al covid-19, diventa possibile scendere dalla nave e proseguire nel percorso: si riceve quindi un secondo foglio notizie in cui vengono di solito richieste le generalità della persona e il motivo dell’arrivo in Italia. Quest’ultimo, anch’esso prestampato, presenta delle caselle già barrate: con la sola firma si accetta quanto è già scritto. Si dichiara così di non essere minorenni, di non avere familiari in Italia, di essere stati informati della possibilità di chiedere asilo. Viene naturale chiedersi quale possa essere la funzione di un secondo foglio notizie. Secondo Annapaola Ammirati, referente del progetto di ASGI In Limine, serve a chiudere il sistema. “Immaginate – ci spiega – di aver trovato il modo di chiedere protezione internazionale sulla nave. Un secondo foglio notizie, a questo punto, annullerebbe quanto dichiarato perché conseguente a quella manifestazione di volontà”. L’effetto è quindi immediato. “Se con una firma – prosegue Ammirati – su un documento pre-stampato confermi di aver ricevuto l’informativa adeguata e di non avere motivi per chiedere asilo. Molto più complicato è invece dimostrare l’opposto, cioè che avevi fatto quella domanda, ma che nessuno l’ha formalizzata”.
Quando ciò accade la persona riceve, a questo punto, un foglio di via o un provvedimento di espulsione o di respingimento differito. In questo caso, l’ingresso all’interno di un centro per il rimpatrio, la convalida del trattenimento e il rimpatrio è la naturale sequenza dei passi che seguono.
Harraga
Martina Costa di Avocats Sans Frontières en Tunisie parla di “rimpatri collettivi vietati dal diritto internazionale” per le modalità standardizzate e rapide con cui avvengono i ritorni in patria, confermando quanto il mancato accesso all’informativa, anche al momento del rimpatrio, sia un grave problema. A partire da settembre, un’azione congiunta di ASF, ASGI e del Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux tenta di entrare in contatto diretto con le persone tunisine rimpatriate attraverso l’azione Harraga (letteralmente “ceux qui brûlent” – quelli che bruciano): viene svolta una prima consultazione, non necessariamente giuridica, attraverso un questionario in cui vengono chieste informazioni sul percorso personale di ciascuno, dal momento della partenza a quello del rimpatrio. I dati vengono condivisi con gli avvocati ASGI che si sono dati disponibili in Italia e viene fatta una prima valutazione delle risposte: il fine è quello di verificare se ci siano dei casi che possano portare a un tentativo di ricorso avverso la misura di espulsione o respingimento. Si fa riferimento quindi alla presenza di vulnerabilità che avrebbe dovuto rendere impossibile il rimpatrio, possibilità di contestare la misura adottata (respingimento invece di espulsione e viceversa), prolungamento illegittimo della detenzione, condizioni di salute precarie e così via. In caso affermativo segue una seconda consultazione, alla presenza di un avvocato tunisino e di uno italiano. “Uno scoglio all’accesso alla giustizia non indifferente è, per esempio, la firma del ricorso che va legalizzata presso il consolato italiano e ha un costo elevato”. Ad oggi sono state effettuate 50 consultazioni, in un caso è stato presentato ricorso al giudice di pace di Siracusa. Il ricorso è stato rigettato ma si tenterà di ripresentarlo in Cassazione. “Serve un precedente che possa aprire la strada all’annullamento del decreto di espulsione e al divieto di reingresso in un paese Schengen”.
Documenti trattenuti
Quanto stupisce maggiormente è il fatto che da queste 50 consultazioni sono solo 12 i casi in cui la persona ha mostrato di essere in possesso di uno o più fra i documenti che avrebbero dovuto essere rilasciati dall’autorità italiana al momento del rimpatrio. Documenti indispensabili ai fini di un ricorso, quali, per esempio, il decreto di espulsione, il test effettuato per il covid, l’informativa ricevuta, la notifica del trattenimento. “È vero che si tratta di testimonianze ma trattandosi di casi ripetuti non può considerarsi una casualità”, afferma Costa. Su 50 consultazioni circa il 60% dichiara di aver compilato e/o firmato dei fogli, di questi più del 55% dichiara di non averne compreso il significato e di essersi sentito forzato a firmarli, il 70% dichiara di non aver ricevuto informazioni in merito alla domanda d’asilo o di protezione internazionale, il 70% ha beneficiato di un interprete, ma di questi, quasi il 50% afferma che secondo loro non era imparziale.
In conclusione possiamo affermare che la procedura di esternalizzazione delle frontiere si realizza anche attraverso un’informativa parziale e spesso addirittura mancante, che sistematicamente si concretizza in due fasi: una “in entrata”, senza conoscere i propri diritti e soprattutto la possibilità di chiedere asilo, una “in uscita”, senza i provvedimenti che andrebbero eventualmente impugnati o le cartelle sanitarie, non consegnate ai diretti interessati. La violazione del diritto all’informazione si protrae così dall’inizio alla fine, senza alcuna apparente ragione se non quella, mai sopita, del respingimento a ogni costo.
[1] Direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale; D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero; D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale; D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
[2] “Le conseguenze concrete degli accordi fantasma: Italia e Tunisia fra rimpatri e opacità”: https://sciabacaoruka.asgi.it/accordi-italia-tunisia-migrazione/
Foto di Diletta Agresta