di Diletta Pamelin
Negli ultimi mesi, c’è stato un drastico cambiamento della situazione sul campo in Libia: il Governo di Unità nazionale (GNA), sostenuto dalle Nazioni Unite, con un significativo supporto da parte della Turchia, ha rotto l’assedio di Tripoli da parte dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (LNA) di Haftar, sostenuto tra gli altri da Emirati Arabi (EAU), Egitto, Russia e Francia.
L’indizione di nuove elezioni, le dimissioni annunciate e poi ritirate del premier Al-Sarraj, l’arresto del noto trafficante Bija e lo spostamento delle rotte migratorie dalle coste libiche a quelle tunisine è un segnale degli sconvolgimenti che hanno attraversato l’ex colonia italiana in questo 2020.
Ma andiamo con ordine. Anzitutto il 23 ottobre le parti del conflitto hanno raggiunto un accordo per un cessate-il-fuoco, che sembra reggere, ponendo così fine, almeno per ora, ad un sanguinoso conflitto iniziato con la caduta di Gheddafi nell’ormai lontano 2011.
Come si diceva, un peso centrale nel ribaltamento delle sorti del conflitto ha avuto il governo turco guidato da Recep Tayyip Erdogan, il quale in Medio Oriente e Nordafrica sta giocando una complessa partita volta a riaffermare un forte ruolo geopolitico di Ankara nella regione. Erdogan ha aiutato il governo sostenuto dalle Nazioni Unite in un momento di bisogno, mentre altri paesi non sono riusciti a fornire supporto pratico al GNA, nonostante le loro posizioni ufficiali lo riconoscano come entità governativa legittima. Di conseguenza, la Turchia è diventata un partner assai affidabile per il GNA contro Haftar e i suoi sostenitori. Basti pensare al Memorandum d’intesa siglato dalla Turchia e dal GNA il 27 novembre 2019, che definisce nuove frontiere marittime tra i due paesi e rafforza la cooperazione in ambito militare e di sicurezza; o all’essenziale aiuto militare turco fornito attraverso i sistemi antiaerei Mim-23 Hawk e i droni Bayraktar Tb2, considerati da più parti determinanti negli scontri contro le truppe del LNA.
Recentemente, il GNA libico sostenuto dalle Nazioni Unite e il governo turco si sono incontrati a Istanbul, dove hanno convenuto di rafforzare la cooperazione nei settori della sicurezza, della difesa, dell’economia e degli investimenti. Da quando il governo libico sostenuto dalle Nazioni Unite ha firmato un accordo di cooperazione militare con la Turchia, la capacità operativa del GNA si è sviluppata e Ankara continua a sostenere i libici nella formazione e nelle consultazioni in campo militare e di sicurezza.
Una collaborazione che, secondo il ministro della difesa turco, “si basa su 500 anni di storia comune con la Libia”: un chiaro indicatore delle ambizioni neo-Ottomane all’interno delle quali si inquadra l’attivismo di Erdogan nella regione.
Le parti in guerra hanno altresì concordato, nell’ambito dell’accordo del 23 ottobre, di tenere le elezioni il 24 dicembre 2021, il giorno dell’indipendenza della Libia.
Anche l’arresto del noto trafficante Abd al-Rahman al-Milad, detto “Bija” è, secondo gli osservatori, un segnale di vecchi equilibri che sono stati scardinati. L’arresto di Bija è stato infatti da più parti recepito come un tentativo del ministro dell’interno libico Bashaga di presentarsi come l’unica alternativa valida ad Al Sarraj a seguito dell’annuncio delle dimissioni di quest’ultimo, poi ritirate.
Tutto questo ha avuto un inevitabile impatto sulla sorte delle migliaia di cittadini stranieri che si trovano attualmente in Libia. La Turchia ha assunto un ruolo di primo piano anche in questo ambito. Le forze dell’ordine turche che addestrano la guardia costiera libica sulle motovedette donate dall’Italia, è un’immagine destinata a segnare, anche simbolicamente, l’avvicendarsi tra Roma e Ankara nella gestione indiretta dei flussi migratori in uscita dal paese nordafricano.
Turchia quindi che, dopo essersi affermata come baluardo della rotta del Mediterraneo orientale (i 6 miliardi di euro che riceve in cambio sono un segnale di quanto l’UE sia oggi disposta a sborsare per sigillare i propri confini) si avvia a diventare l’attore decisivo anche sulla rotta del Mediterraneo centrale.
Tutto ciò, naturalmente, oltre a soddisfare la volontà espansionistica turca e a rafforzare Erdogan anche sul piano della politica interna, offre alla Turchia, fortemente dipendente dalle importazioni di energia, la possibilità di sfruttare le risorse naturali nel Mediterraneo orientale, nelle zone economiche esclusive ridefinite dall’accordo del 27 novembre 2019.
Quanto detto non impedisce all’Unione europea di proseguire, attraverso l’operato della EU Border Assistance Mission in Libya (EUBAM), nella sua politica di sostegno alla Libia in materia di gestione delle frontiere. Secondo quanto riferito da sito Euobserver infatti, un documento interno del 1° settembre 2020 delineerebbe gli orientamenti dell’azione di EUBAM nei prossimi mesi, con l’intento di impedire ai migranti di lasciare la Libia e, ancor prima, i propri Paesi d’origine, spingendo dunque la linea di frontiera della “fortezza Europa” sempre più a sud.