Segnaliamo un interessante articolo di Agnese Pacciardi, dottoranda in Scienze Politiche all’Università di Lund e Joakim Berndtsson, ricercatore in studi sulla sicurezza all’Università di Gothenburg, che analizzano la nascita di una vera e propria “industria delle migrazioni” come risultato delle politiche europee di esternalizzazione in Libia.
Attraverso l’analisi del progetto “Support to Integrated Border and Migration Management” finanziato dal Fondo Europeo di Emergenza in Africa (EUTF) e dal Ministero dell’Interno, l’articolo illustra come la gestione dei flussi migratori sia delegata ad una complessa rete di attori pubblici e privati che vanno a formare complesse strutture di governance. In un contesto estremamente instabile come quello libico, dove i diritti umani vengono sistematicamente violati, l’esternalizzazione del confine e della sicurezza sollevano preoccupanti questioni di trasparenza, rendicontabilità e responsabilità politica, giuridica e morale da parte dell’Unione Europea e dell’Italia.
Grazie a numerose richieste di accesso civico alla Commissione Europea e al Ministero dell’Interno Italiano, rese possibili grazie al supporto di soci e socie ASGI, questo studio ha permesso di far luce su alcuni dei meccanismi e delle logiche che sottendono alle politiche di esternalizzazione. Dal momento che soggetti pubblici e privati sono sempre più coinvolti nella gestione dei flussi migratori attraverso finanziamenti italiani ed europei, è fondamentale conoscere questi attori, scoprire quali rapporti intercorrono tra di loro e analizzare il loro ruolo nel controllo della frontiera. Rispondere a questi interrogativi significa capire a fondo le implicazioni delle politiche e delle pratiche di gestione delle migrazioni.
Attraverso la loro analisi, Pacciardi e Berndtsson illustrano come l’Unione Europea delega il controllo delle frontiere esterne sia ad aziende italiane di sicurezza e consulenza, sia ad attori statali libici (in particolare la polizia di frontiera). Questi ultimi a loro volta sono strettamente connessi ad attori non statali (inclusi mercenari stranieri) e vari gruppi armati. L’industria delle migrazioni che ne deriva è dunque un ibrido tra pubblico e privato, stato e non-stato, domestico ed estero.
L’esternalizzazione del confine e della sicurezza -concludono gli autori- genera dinamiche semi-autonome. Per questo motivo, assegnare la responsabilità per i risultati di queste politiche agli attori sovrastatali (UE), statali (Libia, Italia) o non statali (compagnie private, trafficanti, milizie, mercenari etc) risulta estremamente complesso. Inoltre, mobilitando una grande quantità di finanziamenti, queste politiche creano una forte domanda di servizi di sicurezza a beneficio del settore privato italiano ed europeo, ma anche delle autorità libiche, delle milizie e dei trafficanti. Lo studio, infine, conferma la difficoltà per la società civile di scrutinare questi progetti, confermando come l’opacità e la complessità siano deliberatamente alla base di strumenti come il Fondo Europeo per l’Emergenza in Africa.
E’ possibile scaricare l’intero articolo in lingua inglese QUI