Segnaliamo un interessante tesi di laurea di Sonia Abed Alla, Laurea Magistrale in Lingue e culture per la comunicazione e la cooperazione internazionale, Università di Milano.
Questa ricerca riguarda la politica italiana in materia di contrasto ai flussi migratori irregolari che percorrono ogni anno la rotta del Mediterraneo centrale: in particolar modo, si analizzano i rapporti che l’Italia ha intrattenuto con la Libia, gli aspetti critici degli accordi che sono stati conclusi tra i due Paesi e le relative conseguenze umanitarie. Il periodo preso in considerazione va dai primi anni del Novecento fino a settembre 2019, momento che coincise in Italia con la caduta del primo governo Conte.
In una prima parte, si fa riferimento a fonti statistiche che illustrano come i flussi migratori che hanno attraversato la rotta del Mediterraneo centrale negli ultimi vent’anni siano stati influenzati, da un lato, da fattori geopolitici e, dall’altro, dalla conclusione di accordi di cooperazione tra gli Stati europei e gli Stati del Nord Africa proprio al fine di arginare tali flussi. In questo contesto, la Libia riveste un ruolo fondamentale in quanto rappresenta il principale Paese di transito per tutti i migranti che dal continente africano si dirigono verso l’Europa.
Si approfondisce, quindi, la storia libica, delineando le varie fasi che hanno caratterizzato i rapporti con l’Italia: in particolar modo, vengono illustrati il colonialismo italiano di Libia dei primi del Novecento e la successiva epoca gheddafiana, che fu caratterizzata da un rapporto particolarmente controverso tra i due Paesi. Infatti, se, da un lato, l’Italia ha sempre cercato di mantenere buoni rapporti con il regime di Gheddafi al fine di ottenerne vantaggi commerciali, dall’altro il leader libico ha sempre recriminato all’Italia il proprio passato coloniale e ha fatto dipendere la propria collaborazione anche in materia migratoria dal soddisfacimento delle sue richieste in merito al relativo risarcimento.
L’Italia iniziò a concludere accordi di contrasto ai flussi migratori con la Libia già nel 1998, ma un compromesso che soddisfacesse entrambe le parti venne raggiunto soltanto nel 2008, con la firma del Trattato di Bengasi. Questo accordo dalla portata storica definiva una volta per tutte l’ammontare del risarcimento coloniale italiano e istituiva un sistema di contrasto ai flussi migratori nel Mediterraneo che prevedeva l’utilizzo di pattugliamenti congiunti italo-libici alle frontiere marittime libiche. L’Italia fu, quindi, coinvolta nel corso del 2009 in una serie di operazioni di respingimento in alto mare, in cui le imbarcazioni trasportanti i migranti venivano intercettate dalle autorità italo-libiche e ricondotte in Libia. Questa pratica fu duramente condannata nel 2012 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che con la sentenza Hirsi e altri c. Italia dichiarò l’Italia colpevole di violazione del principio di non respingimento e decretò che la Libia non poteva essere considerata un Paese sicuro in cui sbarcare i migranti.
Inoltre, nel 2011 la guerra civile libica e la conseguente caduta del regime di Gheddafi ebbe fortissime ripercussioni sul nostro Paese: l’Italia si trovò improvvisamente privata del suo principale alleato in materia di contrasto ai flussi migratori proprio nel momento in cui l’emigrazione dalla Libia alle coste italiane stava aumentando in maniera considerevole. Per questo motivo, già dal 2012 il governo italiano cercò di avviare negoziati con le nuove autorità libiche (nonostante l’apparato istituzionale libico fosse ancora piuttosto instabile) al fine di istituire una nuova strategia di esternalizzazione delle proprie frontiere in Libia che però non prevedesse il coinvolgimento diretto delle autorità italiane.
Questi negoziati portarono nel 2017 alla firma del Memorandum d’intesa italo-libico che prevedeva la fornitura da parte italiana di sostegno tecnico, economico e di addestramento alle autorità libiche impegnate nel contrasto dei flussi migratori, in particolare alla guardia costiera e al Dipartimento per il Contrasto all’Immigrazione Illegale. Gli effetti del Memorandum furono evidenti già dall’estate del 2017, periodo che registrò una riduzione drastica degli sbarchi sulle coste italiane. Allo stesso tempo, però, i migranti che non riuscivano a raggiungere l’Italia -perché intercettati in mare dalla guardia costiera libica o perché trattenuti direttamente in Libia- venivano inevitabilmente esposti ad una serie di violazioni dei propri diritti umani, prima fra tutte la reclusione automatica nei centri di detenzione per migranti. In questi luoghi, le condizioni igienico-sanitarie sono particolarmente precarie e i migranti vengono spesso sottoposti a torture, percosse, violenze sessuali; inoltre, sono state ampiamente documentate pratiche di riduzione in schiavitù, di compravendita dei migranti o di sottoposizione a pratiche di lavoro forzato.
Per quanto riguarda il contesto italiano, nel 2017 si diffuse nell’opinione pubblica un clima di forte diffidenza nei confronti di tutti coloro che effettuavano operazioni di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, in particolar modo le ONG. Questo clima si concretizzò nell’emanazione di una serie di misure governative che confluirono l’anno successivo nella cosiddetta politica dei “porti chiusi” portata avanti dal governo Conte I e, in particolar modo, dall’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Questi provvedimenti erano volti a scoraggiare qualsiasi attività di soccorso in mare, in modo da consentire alle autorità libiche di effettuare le operazioni di intercettazione dei migranti senza interferenze esterne.
La politica dei “porti chiusi” si concluse ufficialmente nel settembre 2019 a seguito della modifica della compagine governativa italiana, mentre il Memorandum d’intesa fu tacitamente rinnovato a febbraio 2020 e risulta tuttora in vigore nella sua versione originale.
Risulta evidente che le misure poste in essere dal governo italiano abbiano aumentato il rischio per i migranti di essere esposti a violazioni dei propri diritti fondamentali in Libia. Per questo motivo, nel capitolo conclusivo viene proposta una sintesi delle diverse soluzioni operative presenti in letteratura. In particolar modo, si raccomanda al governo italiano di recedere dal Memorandum del 2017 e di interrompere i finanziamenti alle autorità libiche, in considerazione delle numerose evidenze di violazioni dei diritti umani dei migranti. Nel lungo periodo, si auspica una revisione complessiva della politica migratoria italiana e l’istituzione di una nuovo modello di politica estera che miri a promuovere la stabilizzazione e lo sviluppo delle aree di provenienza dei migranti, con l’obiettivo di mitigare le cause profonde delle migrazioni.
Ad ogni cittadino si raccomanda, infine, di approfondire i fatti e le motivazioni alla base dei provvedimenti presi dal governo italiano, al fine di compiere scelte elettorali oculate ed indirizzare la nostra classe dirigente verso una gestione del fenomeno migratorio più sostenibile ma soprattutto più rispettosa dei diritti di ognuno.
Foto di Dimitris Vetsikas da Pixabay