DAL 3 AL 10 DICEMBRE 2021 ASGI HA SVOLTO LA SUA TERZA MISSIONE IN NIGER PER ANALIZZARE L’EVOLUZIONE DELLE POLITICHE MIGRATORIE NEL PAESE[1]
IN QUESTA PAGINA SONO PRESENTATI I RISULTATI DELL’INDAGINE
Lo stagno di Agadez
A partire dal 2016 il Niger si è trasformato da centro di snodo dei movimenti tra l’Africa occidentale e il Nord Africa in un luogo di ristagno della mobilità e, spesso, di incanalamento forzato delle persone verso i luoghi di origine.
Questa trasformazione è il risultato di un massiccio intervento economico e diplomatico dell’Unione europea e dei suoi stati membri finalizzato alla creazione di una diga a monte della cd. “rotta del Mediterraneo centrale”. Grazie a questi sforzi, il Niger è progressivamente divenuto un luogo in cui si concentrano infrastrutture e know how per la gestione di quelli che sono definiti “flussi misti” attraverso programmi per il resettlement dei richiedenti asilo (pochi) e di sostegno ai ritorni cd. volontari verso i paesi di origine (molti).
Nello specifico, l’UE, tramite il Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa (EUTFA), tra il 2014 e il 2020 ha finanziato progetti finalizzati a rafforzare la stabilità e combattere le cause profonde dell’emigrazione con 288,4 milioni di euro impegnati in Niger[2]. Inoltre, gli aiuti umanitari dell’UE nel paese hanno raggiunto i 247,2 milioni di euro tra il 2014 e il 2020. L’UE ha poi impegnato 716 milioni di euro nell’ambito del Fondo europeo di sviluppo per il Programma indicativo nazionale per il Niger, compreso il sostegno diretto al bilancio[3].
L’Italia ha avuto e ha tuttora un ruolo di primo piano nello sviluppo di queste attività. Secondo la ricostruzione effettuata nell’ambito della ricerca “The Big Wall”, l’Italia ha sostenuto il Niger con oltre 99 milioni di euro distribuiti in 32 progetti tra il 2015 e il 2020. Nell’ottobre 2020 la Farnesina ha finanziato con 8 milioni di euro del “Fondo migrazioni” la Strategia migratoria italiana in Niger, elaborata in collaborazione con le organizzazioni delle Nazioni unite presenti nel paese. La strategia si basa su cinque pilastri tra loro integrati: protezione e assistenza a favore di migranti e rifugiati; loro coesistenza con le comunità locali; lotta al traffico di esseri umani; sviluppo delle opportunità d’impiego nelle regioni di origine dei flussi; coordinamento dei progetti in ambito migratorio in corso nel Paese.
I finanziamenti italiani sono stati nel tempo costanti e hanno seguito la suddivisione indicata dalla strategia, spaziando da interventi per sostenere i rimpatri cd. volontari delle persone migranti bloccate nel paese a interventi per sostenere le persone richiedenti asilo al sostegno alle autorità nigerine nella gestione delle frontiere attraverso formazioni, il finanziamento della costruzione di posti di frontiera e la loro dotazione di strumenti per la rilevazione dei dati biometrici, la fornitura e la consegna di materiali e attrezzature “non letali” per rafforzare le capacità del paese di gestire le frontiere[4].
Inoltre, dal 2018 è attiva in Niger la Missione bilaterale di supporto alla Repubblica del Niger (MISIN), che “prevede uno sviluppo progressivo con un impiego medio annuale fino a un massimo di 295 militari, 160 mezzi terrestri e 5 mezzi aerei” e rappresenta la più importante missione militare italiana in Africa sub-sahariana. Tra i compiti della missione vi è il supporto per la stabilizzazione dell’area e il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel (Niger, Mali, Mauritania, Ciad e Burkina Faso), lo sviluppo delle Forze di sicurezza nigerine per l’incremento del contrasto dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza e il “concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere e del territorio”. Nell’ambito della missione, le forze armate italiane sono impegnate nella formazione delle compagnie GAR-SI Sahel (Groupes d’Action Rapide – Surveillance Intervention), ovvero i gruppi di intervento rapido che, grazie al contributo preponderante dell’UE, dal 2016 si sono sviluppati in paesi chiave quali il Niger, la Mauritania, il Senegal, il Burkina Faso, il Mali e il Ciad[5]. La creazione di queste unità di polizia “flessibili, mobili, multi-disciplinari e autosufficienti” dovrebbe consentire di far fronte alle minacce terroristiche, al crimine organizzato e al traffico di esseri umani attraverso un maggiore controllo delle frontiere chiave.
L’impegno europeo e italiano sembra aver raggiunto gli obiettivi che perseguiva: se nel 2016 erano 333.891 persone ad attraversare il confine del Niger verso la Libia e, in parte, verso l’Algeria, nel 2018 questo numero si era ridotto a 43.380 persone.
Per meglio comprendere il contesto che gli interventi italiano ed europeo hanno contribuito a disegnare e nel quale si inseriscono, può essere utile fare un passo indietro per guardare da una prospettiva più ampia le dinamiche e i movimenti che hanno trasformato il Niger, e Agadez in particolare, in un pozzo in cui ristagna la mobilità.
La legge 036 del 2015: mobilità non gradita
Come noto, il Niger – e la regione di Agadez in particolare – sono storicamente luogo di transito di persone provenienti dall’Africa Occidentale e dirette verso i paesi del Nord Africa – Libia e Algeria principalmente – o intenzionate ad attraversare il Mediterraneo verso l’Europa. A fronte della perdita nel 2011 di un credibile interlocutore libico capace di controllare il territorio, l’Unione europea si è rivolta al governo nigerino al fine di rafforzare le sue capacità di “gestione delle frontiere”. A tal punto il Niger è diventato centrale da essere definito “frontiera meridionale d’Europa”.
Uno dei primi strumenti messi in campo dal governo nigerino per rafforzare il proprio controllo sul territorio è stata l’approvazione di una normativa specifica per combattere il traffico illecito dei migranti, la legge n. 036 del maggio del 2015. Questa legge presenta numerose criticità, sia in relazione alla lettera della norma, sia in relazione alla sua applicazione. In primo luogo, la legge punisce non solo quanti facilitino l’ingresso irregolare nel paese – intenzionalmente e al fine di ottenerne un profitto – ma anche quanti sostengano l’uscita illegale dal paese, fattispecie che non è definita né nella norma né altrove. Questa previsione aiuta a comprendere la centralità del controllo dell’attraversamento delle frontiere verso i paesi del Nord Africa, ovvero delle frontiere di interesse dell’UE. In effetti, numerosi attori intervistati hanno riportato l’impressione che la legge sia stata applicata esclusivamente ad Agadez, che è divenuta la frontiera settentrionale del paese. Come meglio chiarito nell’approfondimento sul tema, l’applicazione della legge ha comportato un repentino cambio nelle modalità in cui avveniva il transito delle persone attraverso la città, che fino al giorno prima era percepito come legale, anzi, come una delle principali attività economiche della città e della regione.
L’implementazione della legge, a dire il vero, ha avuto importanti conseguenze sulla mobilità dei cittadini stranieri – compresi i cittadini dei paesi membri della CEDEAO, che dovrebbero godere del diritto alla libera circolazione – anche al di fuori della regione di Agadez. Si sono infatti moltiplicati i posti di blocco lungo le principali assi di mobilità del paese, al fine di scoraggiare i viaggi delle persone migranti provenienti principalmente dai paesi dell’Africa dell’ovest verso nord. Certamente l’effetto principale è stato di limitare fortemente il transito nella regione di Agadez: seppure il transito non si sia mai veramente interrotto, le modalità del viaggio si sono radicalmente modificate in direzione di una maggiore clandestinità e di un conseguente maggior rischio per le persone in movimento.
LEGGI L’APPROFONDIMENTO SULLA LEGGE N. 036 DEL 2015 E SUI SUOI EFFETTI NELLA REGIONE DI AGADEZ
Centri di smistamento OIM: una breve tappa tra la deportazione illegale e il rimpatrio cd. volontario
A partire dal 2014, a seguito di un accordo verbale di riammissione – di cui al momento non si hanno tracce – l’Algeria ha iniziato a rimpatriare in Niger non solo i cittadini nigerini che soggiornavano senza titolo in Algeria, ma anche numerosi cittadini di paesi dell’Africa occidentale tra cui anche persone dotate di visto o permesso di soggiorno e persone che non sono mai transitate per il Niger[6].
Le autorità algerine, come meglio spiegato nel focus, conducono le persone in un luogo nel deserto definito generalmente “Punto Zero”, a circa 15 chilometri da Assamaka, da cui dovranno raggiungere a piedi il centro abitato. Come testimoniato dal lavoro di Alarm Phone Sahara, sono frequenti i casi di scomparse e morti nel deserto.
Le persone provenienti da paesi terzi che arrivano ad Assamaka in seguito alle deportazioni illegali sono generalmente prese in carico da OIM, che fornisce cure, assistenza e ospitalità solo a quanti decidano di aderire al programma di rimpatrio volontario. Come meglio spiegato nell’approfondimento sul tema dei rimpatri volontari, i servizi offerti da OIM sono gli unici accessibili alle persone migranti, che si trovano in una certa misura costrette ad aderire al programma al fine di accedere a cure e servizi essenziali.
Il flusso di cittadini.e di paesi terzi dall’Algeria è così in buona misura canalizzato attraverso i programmi di rimpatrio cd. volontario, che portano fuori dal paese quanti si ritrovano privi – o meglio privati – delle risorse per ritentare il viaggio verso i paesi del Nord Africa. Negli ultimi mesi sembrano essere in aumento anche le deportazioni di massa dalla Libia verso il Niger, come documentato anche dalle antenne sul territorio di Alarm Phone Sahara.
LEGGI L’APPROFONDIMENTO SUI PROGRAMMI DI RIMPATRIO VOLONTARI
Emergency Transit Mechanism (ETM) dalla Libia, strumenti di protezione e soluzioni durevoli: un viaggio interrotto
Alla fine del 2017 l’UNHCR ha approvato un piano di evacuazione e resettlement delle persone richiedenti asilo e rifugiate dalla Libia, al fine di permetterne l’accesso alla protezione e alle cd. “soluzioni durevoli”. A questo fine l’Alto commissariato ha firmato, nel dicembre dello stesso anno, un Memorandum con il Niger in cui si sanciva la disponibilità nigerina di accogliere le persone evacuate dalla Libia rispettando determinati parametri, quali il tetto massimo di 600 persone accolte nello stesso momento e il periodo massimo di residenza nel paese per ogni persona di 6 mesi. Il Memorandum è stato rinnovato nel febbraio del 2020 per un ulteriore periodo di due anni. L’ETM rappresenta uno dei pochissimi strumenti messi in atto dalla cooperazione internazionale, e in particolare dall’Italia, per mitigare gli effetti del blocco delle partenze dalla Libia determinato in primo luogo dall’attuazione del Memorandum Italia – Libia. Questo programma si è inserito e ha nutrito una narrazione delle politiche di blocco in Libia secondo la quale alla migrazione “irregolare” e incontrollata lungo la rotta del Mediterraneo centrale, si sostituivano strumenti di “gestione” e smistamento della mobilità più ordinati. L’ETM e i rimpatri volontari umanitari assistiti hanno rappresentato proprio questi strumenti. Tuttavia se da un lato, a fronte dell’assenza di alternative, i rimpatri “umanitari” perdono la loro caratteristica di volontarietà e si rivelano essere “espulsioni mascherate”[7]; dall’altro l’ETM è una procedura gravemente insufficiente da un punto di vista numerico e, ancor più importante, assolutamente inadeguata sia per quanto riguarda la sostanza della protezione che le garanzie procedurali: lungi dall’essere una forma di protezione comparabile a quella offerta nei paesi UE, è uno strumento, come espresso dal nome stesso, emergenziale e di natura concessoria. Nella rappresentazione dell’UE e della politica italiana, il sistema di evacuazione in Niger ha però rappresentato una sorta di panacea ai bisogni di protezione delle persone bloccate in Libia.
Nel corso della missione, la delegazione ASGI ha incontrato numerose persone che hanno aderito al programma ETM che si trovano bloccate a Niamey da 2 e anche 3 anni. In diversi casi, infatti, la domanda di resettlement verso paesi terzi è rigettata dagli Stati di destinazione. La procedura non prevede la possibilità di appellare la decisione degli Stati, che può anche non recare le motivazioni del rifiuto. Questo meccanismo immette i richiedenti asilo in una situazione di stallo da cui non sono previste vie di uscita chiare: se da un lato l’UNHCR può presentare la richiesta a differenti Stati, dall’altra non vi sono termini definitivi e l’attesa si può prolungare per diversi mesi. Secondo la capo missione di COOPI, un’ONG italiana che coopera con UNHCR nella gestione dell’ETM, i numerosi rigetti alla propria domanda di protezione e il rifiuto degli Stati di destinazione ad accettare il resettlement stanno portando a uno slittamento del progetto verso altre “soluzioni durevoli”, in primo luogo l’integrazione nel paese di transito.
La medesima soluzione sembra essere l’unica prospettata ai richiedenti asilo e rifugiati, in massima parte di origine sudanese, che sono arrivati autonomamente in Niger, prevalentemente dalla Libia, e si trovano bloccati nel “centro umanitario” gestito da UNHCR in partenariato con un’organizzazione locale ad Agadez. Nonostante molti richiedenti asilo e rifugiati che si trovano ad Agadez sono convinti che saranno ricollocati, il referente di UNHCR sul campo ha chiaramente spiegato alla delegazione ASGI che solo un numero estremamente ridotto di persone avrà accesso a tale misura, mentre per la maggior parte si prospetterà un percorso di integrazione nel paese.
LEGGI L’APPROFONDIMENTO SU ETM
La risultante delle forze in atto. Logiche perverse in un Niger immaginato
L’enfasi sulle possibilità di integrazione nel paese quale soluzione durevole è stata riprodotta anche dal discorso politico-diplomatico italiano. Nel corso di una breve interazione, l’Ambasciatrice italiana in Niger ha infatti spiegato alla delegazione ASGI come sia al momento necessario creare possibilità di sviluppo e impiego in Niger, e lavorare sulla società civile nel paese affinché queste opportunità siano condivise con le persone migranti che, seguendo direttrici scelte o forzate, si sono trovate bloccate in Niger. Questo obiettivo è perseguito dall’Italia principalmente finanziando progetti volti a estirpare le “cause profonde dell’emigrazione” e a creare “economie sostitutive” rispetto a quelle fondate sul transito dei migranti.
In tale contesto è utile richiamare che il Niger è l’ultimo paese nella lista relativa all’Indice di sviluppo umano stilata dalle Nazioni Unite nel 2020. Le politiche migratorie fin qui attuate, soprattutto nella regione di Agadez, hanno ulteriormente aggravato la precaria condizione sociale ed economica della popolazione, che basava buona parte delle sue attività economiche proprio sull’accompagnamento, ospitalità e transito delle persone migranti nel deserto.
A ciò si aggiunge l’utilizzo del paese quale ricettore dei movimenti forzati dalla Libia – ETM e respingimenti illegittimi – e dall’Algeria. La posizione geografica e l’accumulo di risorse, infrastrutture e know how in Niger ha creato una situazione che si autoalimenta: sul territorio nigerino si sono infatti costruiti e stabilizzati assetti economici, sociali e politici che consentono un “semplice” svolgimento dell’operato di organizzazioni internazionali e soggetti attivi nella cooperazione, a prescindere dall’efficacia effettiva dei progetti implementati di incidere sulle criticità individuate.
Gli effetti nefasti di una governance delle migrazioni che ha quale unico obiettivo il contenimento della mobilità emergono anche dalla lettura delle premesse fattuali da cui prendono le mosse i progetti implementati dalle organizzazioni internazionali grazie ai finanziamenti europei e italiani.
OIM, nell’introduzione a un progetto per il rafforzamento delle capacità dei governi nigerino, burkinabè e maliano di gestire le frontiere[8], spiega che nel 2020 è stato notato un “aumento del traffico di esseri umani in seguito all’inasprimento delle politiche migratorie nella regione (compresa la legge 2015-36 in Niger che ha criminalizzato la migrazione irregolare attraverso rotte alternative nel nord del Niger).” A fronte di tale situazione, il progetto mira quindi a intraprendere “ulteriori misure per combattere il traffico di migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale, compreso il rafforzamento del controllo delle frontiere”.
Sembra quindi alimentarsi un circuito in cui le premesse e le risposte sono le medesime: controllo delle frontiere e lotta a quella che viene definita migrazione “illegale”. A questo occorre aggiungere che i movimenti considerati irregolari e i controlli alle frontiere avvengono tra paesi appartenenti alla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (CEDEAO) che trova la propria ragione e sostanza proprio nella difesa e promozione della libertà di circolazione tra gli Stati membri, diritto riconosciuto a tutti i cittadini della regione.
[1] La missione si è svolta tra il 3 e il 10 dicembre 2021 e ha coinvolto Khalid Abaker, Amr Adem, Diletta Agresta, Luce Bonzano, Cristina Cecchini, Salvatore Fachile, Adelaide Massimi, Giulia Vicini. I.le partecipanti si sono suddivisi in due gruppi, il primo ha svolto incontri e interviste a Niamey e il secondo ad Agadez. Nel corso della missione sono stati incontrati e intervistati diversi soggetti che si elencano qui di seguito: Commissione nazionale di eleggibilità; Secrétariat Permanent du Cadre de Concertation sur la Migration; IOM; COOPI; UNHCR; Alarm Phone Sahara; Médecins du Monde; MSF; il Sindacato di ex-prestatori di servizi per la migrazione; International Rescue Committee (IRC); Association pour le bien-être (APBE); Commissione Nazionale Diritti Umani – Capo Antenna regionale Agadez; Croce Rossa Internazionale; Intersos; Catholic Relief Service (CRS); Direction Générale de l’État Civil, des Migrations et des Réfugiés. Inoltre, sono stati incontrati avvocati, giornalisti e cittadini stranieri richiedenti asilo rifugiati e sprovvisti di titolo di soggiorno. Gli approfondimenti qui pubblicati sono stati pubblicati dai.lle partecipanti alla missioni e da Giulia Crescini, referente scientifica per il progetto.
[2] I fondi sono così distribuiti: governance 120,4 milioni di euro; occupazione 87,1 milioni di euro; gestione della migrazione 54 milioni di euro; resilienza 26,9 milioni di euro.
[3] si veda Operationalization of the Pact – Action plans for strengthening comprehensive migration partnerships with priority countries of origin and transit Draft Action Plan : Niger. Brussels, 20 September 2021. consultabile su: https://www.statewatch.org/media/2766/eu-council-com-draft-action-plan-niger-migration-11950-21.pdf)
[4] Per una panoramica dei progetti finanziati dall’Italia tra il 2020 e il 2021 e per la strategia migratoria in Niger si veda: https://sciabacaoruka.asgi.it/36041/ e https://sciabacaoruka.asgi.it/la-strategia-italiana-in-niger-per-la-gestione-delle-migrazioni/
[5] Il progetto di formazione di questi gruppi di intervento è stato finanziato nel 2016 con 74.175.338 dell’EUTFA e si colloca nell’ambito del Piano de La Valletta, specificamente nelle priorità di intervento per la lotta alle cause profonde delle migrazioni e di prevenzione alla migrazione “irregolare”, alla tratta e al traffico di persone.
[6] “The expulsions from Algeria to Niger (which make up for the majority of the migrants assisted with assisted voluntary return) continues in large numbers. Between 2016 and 2019, 27,153 migrants were expelled from Algeria to Niger. As a result of these high numbers of expulsions, IOM Niger was the largest ‘sending’ mission globally with more than 16,000 migrants assisted with AVR in 2019. In 2020 alone, despite the official closure of the land border between Algeria and Niger since 19 March 2020, more than 8,000 migrants were expelled. In 2021 thus far, almost 3,000 migrants were expelled since the end of February, as expulsions were temporarily halted during the electoral period in Niger.”Si veda il progetto Avenir, gestito da IOM e finanziato dall’Italia con 1 milione di euro per una annualità: https://sciabacaoruka.asgi.it/wp-content/uploads/2022/04/IOM-Niger-AVENIR-Project-Document-Work-Plan-and-Project-Budget-Annex-A-controfirmato.pdf
[7] Si veda il parere della International Protection of Human Rights Legal Clinic di Roma 3 disponibile su: http://protezioneinternazionale.giur.uniroma3.it/wp-content/uploads/2021/12/Roma-Tre-IPHR-Legal-Clinic_CEDAW-Legal-Expert-Opinion_12042021.pdf
[8] Si veda il progetto “Improving Border Management and Community Resilience towards Cross-Border Organized Crime in Niger, Mali and Burkina Faso with a Focus on the Central Mediterranean Route”, disponibile a questo link: https://sciabacaoruka.asgi.it/wp-content/uploads/2022/04/Project-Proposal-Annex-A-IOM-Sahel_23.11firmato.pdf